I pesanti costi dell’inflazione

Il rischio recessione. Gli aiuti di stato non sono sufficienti a fermare l’impoverimento generale.

Inflazione dicembre 2022.

Strangolati dall’inflazione e in particolare dai costi energetici.

Le famiglie italiane – ma la situazione è la medesima in tutta Europa – pagano pesantemente i costi di una speculazione su scala mondiale, che sta affossando la ricchezza e il grado di benessere collettivo, prima con la pandemia, poi con la guerra Russo-Ucraina, e dalla scorsa estate con aumenti esagerati dei costi per le risorse energetiche.

Costi più che raddoppiati per il riscaldamento (gas, legna, pellet) e la luce (con bollette cresciute in alcuni casi fino a 6 volte), tassi di interesse aumentati dalle banche (che sui mutui a tasso variabile significano un bagno di sangue), costo dei carburanti, e non ultimo i beni alimentari.

Una escalation che si traduce in un impoverimento generale del livello di benessere delle persone e del potere di acquisto.

Le ragioni sono in definitiva dovute ad una speculazione esagerata da parte dei cartelli finanziari industriali che possiedono l’oligopolio di questi beni, ampiamente tutelati e garantiti da una “politica del liberismo concorrenziale” sovranazionale praticata dall’UE, e che quindi le politiche interne dei governi nazionali non possono o riescono a contrastare.

Caorle, Spiaggia di Levante.

A questa spinta inflazionistica speculativa hanno cercato di porre rimedio le banche centrali, dalla Federal Reserve alla BCE, con la sola cosa che sanno fare, ovvero aumentando i tassi di interesse. «In uno scenario con un’inflazione in crescita, la Banca centrale di un Paese  come reagisce? Alzando i tassi d’interesse, ossia aumenta il costo del denaro per scoraggiare l’accesso al credito; in questo modo comincia a circolare meno valuta e, inevitabilmente, l’inflazione tende a diminuire» si legge in tutti i manuali di economia finanziaria.

Ma l’effetto pernicioso è un altro: la contrazione delle spese da parte dei consumatori. E quindi abbiamo risparmiato sul riscaldamento, sull’acquisto di beni voluttuari (vestirsi alla moda, andare al ristorante, comprare un prodotto che ci piace, svagarsi e divertirsi, ecc.), sulla luce, persino sul cibo, e su tutti i beni che i colossi della distribuzione offrono a basso costo, soprattutto nell’e-commerce. I primi a pagarne i costi sociali sono ovviamente le piccole botteghe, le piccole imprese, le fasce più fragili della popolazione.

E questa dinamica, se non correttamente contrastata, porta all’effetto opposto, ovvero alla deflazione, che si traduce in recessione.

La recessione si verifica quando un paese, arrivato ad avere una certa capacità produttiva, non è più in grado di sfruttarla completamente, proprio perché la domanda complessiva di beni e servizi diminuisce. 

La recessione è l’opposto della crescita economica, cioè dello sviluppo di un paese in questi settori che consentono l’aumento della ricchezza, dei consumi, della produzione di beni e di servizi.

Insomma, il PIL – Prodotto interno lordo – cala, e questo innesca un circolo vizioso pericoloso con l’economia generale che tende ad implodere, mentre lo Stato si vede diminuire le entrate erariali con cui far funzionare la macchina pubblica.

Si pensi cosa accadrebbe se l’economia italiana del turismo, che da solo genera il 14% del PIL globale, più una pari percentuale per il vasto indotto, dovesse entrare in recessione.

E dunque il turismo va sostenuto e agevolato; in questo momento soprattutto con politiche a sostegno delle condizioni economiche e professionali dei lavoratori dipendenti stagionali, che oggi sempre più sono lasciati in condizioni di precarietà, e progressivamente sostituiti da migranti certamente volenterosi, ma di inadeguata qualità professionale.

Tocca allo Stato italiano mettere in campo efficaci politiche di sviluppo per fermare l’impoverimento sociale generale.