
Ha suscitato dispiacere lo scorso Venerdì Santo non poter effettuare la Processione Via Crucis notturna per le strade del centro storico.
Un fatto doloroso che rimane nella storia popolana di Caorle, il non partecipare al corteo con l’esposizione del Preziosissimo Sangue di Gesù contenuto nel reliquiario gotico del XIV secolo, e le insegne processionali delle storiche Confraternite, con il settecentesco astile con la Pietà lignea portato dalla famiglia Dalla Bella, e la Croce dei Baraboi.
Abbiamo ricordato l’evento con un post nella nostra pagina di Facebook – che ha ricevuto moltissime condivisioni e raggiunto oltre 12mila visualizzazioni – nel quale, per sommi capi, abbiamo raccontato la storia di questa tradizione, che risale a 100 anni fa secondo le testimonianze dirette della famiglia Gusso “Santamore”, vocata alla partecipazione nella Via Crucis.
Nel post veniva ricordato che: «Durante la prima guerra mondiale vi fu un esodo di massa dai territori veneziani occupati dall’impero Austro-Ungarico. Molte famiglie trovarono rifugio lontano dalle zone di guerra: una scelta dolorosa, con la speranza di una salvezza per sé e i propri famigliari.
Così fece anche Francesco Gusso “Santamore” che trovò rifugio e ospitalità in Basilicata, a Ferrandina, un paesino allora della provincia di Potenza (oggi sotto Matera).
Durante i lunghi mesi di permanenza, un solo pensiero fisso: “Sperémo che ‘sta guerra finissa presto e che podémo tornar a Caorle”, perché la lontananza dal proprio paese, dalla propria casa, dai parenti e dagli amici procurava dolore e tanta nostalgia.
A Ferrandina, come del resto in molte località del Sud, tra le varie tradizioni religiose ce n’era una che colpì in modo particolare Francesco.
Durante la Processione del Venerdì Santo, per provare, almeno in parte, le sofferenze patite da Gesù durante la salita al Calvario, alcuni uomini incappucciati e con i piedi scalzi, partecipavano al corteo portando un Crocifisso e quattro grandi ceri. La sofferenza era ben visibile.
Fu fatto un voto: se fosse tornato a Caorle sano e salvo, avrebbe portato quella tradizione nel nostro paese di pescatori, per ringraziare Dio della grazia ricevuta.
La guerra finì. Nel 1919 la famiglia “Santamore” tornò alla sua casa di Caorle. Francesco si presentò all’allora parroco don Silvio Ferretti al quale, dopo avergli comunicato l’intenzione di tener fede al voto fatto, chiese il permesso di istituire questo gesto, durante la processione del Venerdì Santo.
La cosa fu così sentita e apprezzata dai caorlotti che l’anno successivo don Ferretti suggerì a Francesco di ripeterla. Fu così che nacque la tradizione dei cosiddetti “Barabòi”, nei quali si riconosce l’intento di esprimere penitenza e condividere la sofferenza della Passione patita da Gesù sulla via Dolorosa del Calvario.»

L’etimo arcaico “Baraboi” sembrerebbe associato alla figura di Barabba, la cui sorte di peccatore fu salvata dal sacrificio di Gesù sulla Croce.
Ebbene, oltre agli apprezzamenti per aver raccontato questo tratto della storia di Caorle, abbiamo ricevuto anche una segnalazione molto preziosa, che dà nuova luce a questa tradizione.
In realtà, come già riportato dallo storico caorlotto Paolo F. Gusso nel suo monumentale testo “Caorle Sacra”, redatto con Renata Candiago, nella parte inerente i Vescovi che si sono succeduti nella Cattedra di Santo Stefano di Caorle e sulle Confraternite (Vescovado e Confraternite sono stati entrambi soppressi con la dominazione napoleonica ai primi dell’800), vi è uno specifico riferimento alla Confraternita dello Spirito Santo, fondata ai primi del ‘600, ma della quale origine e ‘mariegola’ (dal latino “matricula”, o Regola Madre, nelle Scuole di Venezia era lo statuto dei diritti e dei doveri degli aggregati) non sono note, e tutte le attività religiose si svolgevano secondo consuetudini tramandate oralmente. «Era riconosciuta particolare devozione al Crocefisso della Confraternita perché veniva portato in solenne processione la sera del Venerdì Santo, privilegio accordato dal Vescovo Benedetto Benedetti il 3 Maggio 1618.» (“Caorle Sacra” – pag. 58). La stessa asserzione è contenuta in “Storia di Caorle” di Giovanni Musolino (pagg. 270 e 290).
Secondo la documentazione conservata negli archivi vescovili di Venezia, Paolo Gusso ritiene che fin da allora si sia svolta la consuetudine di partecipare alla Processione della Via Crucis con non cinque bensì 12 incappucciati penitenti vestiti di nero, portando la Croce. E questo sarebbe perdurato almeno fino alla soppressione delle Confraternite, avvenuta con decreto napoleonico nel 1811, per poi riprendere dopo il 1820, a seguito della Restaurazione imposta con il Congresso di Vienna.
Quindi, tra alterni momenti storici e vicende belliche che portarono ad una falcidie della popolazione di Caorle, si arriva al 1920, anno in cui la famiglia di pescatori Gusso “Santamore” (e anche questo soprannome di famiglia suggerisce un’assonanza con la Santa Croce e lo Spirito Santo), anno in cui si ripristina la tradizione della Confraternita.
Un secolo dopo, una nuova dolorosa interruzione.
